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🔔🇮🇹16 Marzo 1978 : fu uccisa la repubblica e camuffarono tutto con il Caso Moro | Il Grande Timoniere | ParlamentariLadri | Canale Italia

 Il caso Moro è l'insieme delle vicende relative all'agguato, al sequestro, alla prigionia e all'uccisione di Aldo Moro, nonché alle ipotesi sull'intera vicenda e alle ricostruzioni, spesso discordanti fra loro, degli eventi.

La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo dalle larghe intese  guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, l'auto che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei deputati fu intercettata e bloccata in via Mario Fani a Roma da un nucleo armato delle Brigate Rosse. In pochi minuti, sparando con armi automatiche, i brigatisti uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci) e i tre poliziotti che viaggiavano sull'auto di scorta (Raffaele IozzinoGiulio Rivera e Francesco Zizzi), quindi sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Secondo quanto emerso dalle indagini giudiziarie, alla messa in atto del piano avrebbero partecipato undici persone, ma il numero e l'identità dei reali partecipanti è stato messo più volte in dubbio e anche le confessioni dei brigatisti sono state contraddittorie su alcuni punti.Alle 8:45 i quattro componenti del nucleo armato brigatista incaricati di sparare, con indosso false uniformi del personale Alitalia, si disposero all'incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, nascosti dietro le siepi del bar Olivetti, chiuso per fallimento e situato dal lato opposto rispetto allo stop dell'incrocio stesso. Mario Moretti, componente del comitato esecutivo delle Brigate Rosse e dirigente della colonna romana, al volante di una Fiat 128 con targa falsa del Corpo diplomatico, si appostò nella parte alta della strada, sul lato destro, all'altezza di via Sangemini.
autore materiale della morte di Aldo Moro, ha passato circa 40 anni in carcere e ora vive a Brescia e dal 1997 gode del regime di semi-libertà. Ha trascorso capodanno e i primi giorni di gennaio in un appartamento di Brescia senza rientrare a dormire in cella
I corpi senza vita dell'autista e della guardia del corpo di Moro

Moro, come ogni mattina, uscì dalla sua abitazione in via del Forte Trionfale 79 poco prima delle 9:00 e salì sulla Fiat 130 blu di rappresentanza; alla guida vi era l'appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci e, seduto accanto a questi, il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, caposcorta, considerato la guardia del corpo più fidata del presidente. La 130 era seguita da un'Alfetta bianca con a bordo gli altri componenti la scorta: il vicebrigadiere di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi e gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Le due auto imboccarono via Trionfale in direzione centro, verosimilmente per raggiungere attraverso via della Camilluccia la chiesa di Santa Chiara in piazza dei Giuochi Delfici, ove Moro era solito entrare prima di recarsi al lavoro.

L'agguato brigatista iniziò quando la colonna su cui viaggiava Moro svoltò a sinistra da via Trionfale su via Fani: Rita Algranati, appostata all'angolo fra le due strade con un mazzo di fiori, segnalò a Moretti, Lojacono e Casimirri l'avvenuto passaggio delle due auto con un cenno convenuto.Moretti riuscì subito a mettersi proprio davanti all'auto di Moro, procedendo in modo da non farsi sorpassare, mentre la 128 di Lojacono e Casimirri si portò in coda alla colonna. Dopo circa 400 metri, in corrispondenza dello stop all'incrocio con via Stresa, l'auto di Moretti si arrestò di colpo; le successive deposizioni dei brigatisti discordarono sul fatto che alla frenata fosse seguito o no un tamponamento da parte della Fiat 130 con a bordo Moro. Quest'ultima in ogni caso si venne a trovare stretta tra l'auto di Moretti e l'Alfetta della scorta che la seguiva. Le due auto del corteo del presidente furono quindi a loro volta intrappolate alle spalle dalla 128 di Lojacono e Casimirri, che si mise di traverso.A questo punto entrò in azione il gruppo di fuoco: i quattro uomini vestiti da avieri civili e armati di pistole mitragliatrici sbucarono da dietro le siepi del bar Olivetti.

Dalle indagini giudiziarie i quattro vennero identificati in: Valerio Morucci, esponente molto noto dell'estremismo romano ritenuto un esperto di armi, Raffaele Fiore, proveniente dalla colonna brigatista di TorinoProspero Gallinari, clandestino e ricercato dopo essere evaso nel 1977 dal carcere di Treviso, e Franco Bonisoli, proveniente dalla colonna di Milano. Tutti e quattro erano militanti fortemente determinati e già coinvolti in precedenti azioni di fuoco.I quattro si portarono molto vicini alle due auto bloccate allo stop: Morucci e Fiore aprirono il fuoco contro la Fiat 130 con Moro a bordo, Gallinari e Bonisoli contro l'Alfetta di scorta. Secondo le ricostruzioni dei brigatisti, tutti e quattro i mitra si sarebbero in seguito inceppati: Morucci riuscì a eliminare subito il maresciallo Leonardi, poi si trovò in difficoltà con il suo mitra, mentre invece l'arma di Fiore si sarebbe inceppata subito, il che lasciò il tempo all'appuntato Ricci di tentare varie disperate manovre per svincolare l'auto dalla trappola; una Mini Minor parcheggiata sul lato destro intralciò ulteriormente ogni movimento. In pochi secondi Morucci risols
e la situazione tornando vicino alla Fiat 130 e uccidendo con una raffica anche l'autista.Contemporaneamente, Gallinari e Bonisoli sparavano contro gli uomini della scorta sull'Alfetta: Rivera e Zizzi furono subito colpiti mentre Iozzino, relativamente riparato sul sedile posteriore destro e favorito dall'inceppamento dei mitra dei brigatisti, poté uscire dall'auto e rispondere al fuoco con la sua pistola Beretta 92, ma subito dopo Gallinari e Bonisoli estrassero entrambi le loro pistole e uccisero anche lui.
[7] Dei cinque uomini della scorta, Francesco Zizzi fu l'unico a non morire sul colpo: estratto vivo dall'Alfetta ai primi soccorsi, si spegnerà poche ore dopo al Policlinico Gemelli.
Secondo la prima perizia del 1978 sarebbero stati sparati in tutto 91 colpi, 45 dei quali avrebbero colpito gli uomini della scorta; 49 di questi (di cui peraltro solo 19 a segno) sarebbero stati esplosi da una stessa arma, 22 da una seconda arma del medesimo modello (entrambe erano delle pistole mitragliatrici residuati bellici FNAB-43) e i restanti 20 dalle altre quattro armi: due pistole, un mitra TZ-45 e un mitra Beretta M12. La perizia del 1993 non ha confermato questi dati e non è stata in grado di attribuire tutti i 49 colpi allo stesso FNAB-43; è possibile, come affermato da Valerio Morucci, che essi appartenessero a entrambi i mitra, utilizzati da Bonisoli e da Morucci stesso.
Nonostante il volume di fuoco dell'azione, Aldo Moro restò totalmente illeso.

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